Viaggiare apre la mente, svuota il portafogli e riempie Instagram di foto con hashtag in spagnolo.
Mettete da parte i sombreri, la pigrizia e tutti i luoghi comuni sui Caraibi e preparatevi a scoprire il Messico. Dopo 15 giorni e un devastante jet-lag ho ricevuto il dono più bello che ti possa fare la penisola dello Yucatan:regalarti una nuova capacità di sognare.
Tutto parla di giungla, antiche leggende e visioni suggestive. Partiamo dai Maya, la civiltà che ha mostrato al mondo i ritmi dell’universo, che saliva su enormi piramidi per misurare il tempo e cercava l’acqua
seguendo la forma degli alberi che affondavano le proprie radici nei cenote, ricchi di acqua dolce.
Chichen Itza, Merida, Uxmal, Campeche e Tulum hanno una caratteristica comune: altissime piramidi che, scalino dopo scalino, sono capaci di avvicinarti al cielo e mostrarti i segreti delle stelle. Il calendario dei Maya con i suoi precisissimi calcoli faceva coincidere la fine del mondo con la fine di nove cicli di cinquant’anni ciascuno. Con questo termine del tempo, come artisti in cerca della continua ispirazione, abbandonavano le città e si mettevano in cammino verso nuove terre da esplorare.
Terre meravigliose, dove il sole splende così crudele da togliere il respiro, ricche d’oro e argento, dove crescono mangrovie, cacao e pannocchie di mais variopinte che hanno ispirato i sogni di Frida Khalo, l’artista più inquieta e creativa del nostro tempo.
Cacao e mais sono il cuore pulsante della cultura indigena perché rappresentano i doni di una terra difficile da coltivare ma generosa nel donare, specialmente nell’area dell’Altopiano vicino a Citta del Messico, l’antica Tenochtitlàn. Un luogo bellissimo e affascinante soprattutto per i pirati e gli spagnoli di Hernan Cortès che, abbagliati dall’oro e dalle pietre preziose, non esitarono a imporre la propria supremazia.
Ogni nazione ha la sua perla e, per me, la regione più bella del Messico è quella che ospita lo stato del Chiapas. Sospeso tra le montagne coperte di giungla e l’Oceano Pacifico, il Chiapas è un luogo in cui la cultura indigena è più forte che mai. Basta pensare a San Juan Chamula, un paesino a nord di San Cristobal de las Casas, dove la presenza dei turisti è tollerata a patto che fotocamere e smartphone non scattino foto. Perché rubano l’anima e turbano la comunità locale.
La spiritualità indigena si esprime nei riti sciamanici celebrati nella chiesa di San Juan in cui il pavimento è ricoperto di aghi di pino e candele per ricreare il contatto con la terra e la natura.
Un luogo in cui le foto più belle sono quelle che non puoi scattare. Una bella sfida che stimola la creatività e l’immaginazione.
Sara Cennamo, curiosa viaggiatrice di HUG